di Domenico CersosimoLavoro giovani donne Sud.
Quattro parole importanti per il futuro del nostro paese.Quattro parole che potrebbe unire l’Italia e riaccedere una prospettiva di crescita per tutti.Quattro parole non in agenda.Non in quella del governo, ossessionato da altre parole come
riduzione delle tasse, federalismo fiscale, tagli della spesa
pubblica e miniaturizzazione dello stato.
Ma neppure in quella dell’opposizione, che sembra coltivare
l’afasia o al più la doppiezza linguistica: al Nord alcune parole,
al Sud altre.
“Senza parole non c’è politica” scrive a ragione Gianfranco Viesti nel
suo fresco libricino Più lavoro, più talenti appena pubblicato dalla
Donzelli. Sulle parole la sinistra ha costruito nel secolo scorso
imponenti processi di mobilitazione sociale, consenso politico
e partecipazione popolare.
Il benessere degli italiani è cresciuto molto grazie a quelle parole
mobilitanti del nostro riformismo.
Da più di un decennio, il centrosinistra è però al palo, sfiduciato,
incapace di offrire profezie credibili, parole senza retorica.
Non a caso l’Italia è ferma, se non in declino.
Per ripartire ci vogliono le parole giuste, slancio, vista lunga
e ragionevole ottimismo.
C’è bisogno di più lavoro e di lavori di migliore qualità.
Maggiore occupazione implica più reddito, più consumi,
più entrate fiscali, più benessere sociale.
In Italia lavorano comparativamente molto meno persone
rispetto agli altri paesi europei.
I giovani e le donne sono i soggetti più penalizzati con livelli
di occupazione davvero esigui, soprattutto nel Mezzogiorno.
Troppi giovani scolarizzati non hanno mai trovato un lavoro;
tanti altri sono costretti a lunghe, interminabili esperienze di
precarietà, di bassi salari, di convivenza forzata con i genitori.
Molti dei più qualificati devono emigrare in paesi più accoglienti.
A troppe ragazze è negata la piena autonomia per il lavoro che
non c’è.
Bisognerebbe allora ripensare i meccanismi di funzionamento
della nostra economia, avviare, come suggerisce Viesti,
una “manutenzione straordinaria” del nostro capitalismo, non
piccoli aggiustamenti. Osare mete più ambiziose, mettere a
tema la piena occupazione, rafforzare e non indebolire la scuola
e l’università, i luoghi/tempi dove si formano capitale umano
e qualità civili, ritornare a considerare Nord e Sud come
segmenti complementari di un grande paese unitario.
La sinistra italiana dovrebbe uscire dal lungo letargo,
trovare le parole giuste per una nuova narrazione credibile
e darsi obiettivi ambizioni, adeguati al rischio di collasso
della nostra società nazionale.
La ripresa italiana costringe a fare i conti con il Mezzogiorno.
Perché è nel Sud che si annidano le più importanti potenzialità
di sviluppo; perché è nel Sud che si addensano le maggiori
criticità sociali e istituzionali.
Una rozza costruzione politica intenzionale della Lega ha fatto
sì che Sud sia diventata oggi una parola impronunciabile,
totem della quintessenza dei mali del paese: strato cronicizzato
di mafie, corruzione, familismo, illegalità, sprechi.
Un aggregato geografico ed umano a sé, refrattario al civismo
e allo sviluppo; un pezzo d’Italia che dilapida imponenti risorse
pubbliche prodotte al Nord.
Questo “teorema Mezzogiorno”, come lo chiama efficacemente
Viesti, seppure ha conquistato buona parte delle élite dirigenti
nazionali e degli italiani, anche del Sud, è palesemente falso,
basato cioè su affermazioni senza fatti, prive di evidenze
empiriche. E’ un teorema che giustifica il saccheggio
sistematico da parte del governo di risorse finanziarie
destinate al Sud e la secessione culturale strisciante.
Ovviamente il Sud non è il migliore dei mondi possibili:
la sanità, la giustizia civile, i trasporti, la scuola funzionano
peggio che al Nord.
Il Sud però non è un’area altera, deviata, polarmente
contrapposta al Nord, bensì il segmento debole di un
paese occidentale alquanto debole; un’area dove il deficit
di servizi pubblici è più accentuato e i diritti elementari
di cittadinanza più calpestati.
Il Sud soffre in maniera più radicale i mali dell’intera Italia:
bassa crescita, bassa occupazione, basso investimento nei
giovani e nelle donne, bassa disponibilità di beni pubblici,
inefficienza amministrativa, modestia delle classi dirigenti.
Il Sud non è dunque “il” problema dell’Italia contemporanea.
Il problema è l’assenza di politica alta, di immaginazione,
di fiducia in un paese diverso: più equo e unito, più aperto
e coeso.
Il problema è trovare parole diverse.
Di credere, come chiude il suo libro Viesti, “che i giovani,
le donne, il Mezzogiorno non sono il problema ma la possibile
soluzione”.